Cos’è l’estorsione
L’ art. 629 cp punisce chiunque che tramite violenza (tale da coartare la volontà della persona offesa ma non in misura completa, posto che altrimenti si ricadrebbe nell’ambito della rapina di cui all’ art. 628 cp ) o minaccia (intesa quale prospettazione di un male ingiusto e notevole da parte dell’agente), costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.
Il reato puo’ essere:
1)comune: può essere commesso da chiunque;
2)plurioffensivo: pur essendo un delitto contro il patrimonio va a ledere l’integrità fisica del soggetto passivo.
Il reato viene punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da 1.000 euro a 4.000 euro, salvo aggravanti.
Ovviamente sono vari i casi di estorsione.
Di seguito analizziamo alcune forme di estorsione che possono verificarsi sul luogo di lavoro, riferendoci alle più rilevanti e recenti pronunce di legittimità al fine di fornire strumenti utili di consapevolezza al lavoratore “medio” che spesso non è al corrente di come certe dinamiche possano configurare vere e proprie fattispecie di reato perseguibili penalmente.
Con la sentenza n. 7456 del 23.01.2025 , la Cassazione penale ribadisce il seguente principio di diritto: “ integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con la minaccia di licenziamento, a ricoprire la carica di amministratore di una società ”.
Il fatto
La Corte d’Appello condanna l’imprenditore per il reato di estorsione, per aver forzato un dipendente a mantenere la carica di amministratore della società e per aver prospettato allo stesso il licenziamento nel caso in cui ciò non fosse accaduto.
Con la sentenza di condanna emessa dalla corte d’appello in cui è stata confermata la sentenza di primo grado, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione con diversi motivi di impugnazione:
–tramite il primo motivo di impugnazione, la difesa ha censurato la valutazione delle prove acquisite e nello specifico delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dai testimoni poste alla base della condanna
–in merito alle dichiarazioni della persona offesa, il fatto che questa avesse mantenuto la carica di amministratore per un ampio periodo di tempo e il fatto che avesse tenuto un ruolo attivo nella società (che consiste nella nomina di un legale per avviare la procedura fallimentare della società ) non troverebbe corrispondenza con un’attività di coercizione posta in essere dall’imputato
-Inoltre i giudici di merito non avrebbero valorizzato in modo adeguato una testimonianza e non avrebbero spiegato il perché avevano invece ritenuto credibili le dichiarazioni rese da due testimonianze che nutrivano rancore verso l’imputato a causa di una precedente controversia civile
–infine ma non meno rilevante si aggiunge il fatto(secondo la difesa) che diverse volte l’imputato fosse intervenuto in aiuto alla persona offesa(pagando una cambiale per consentirle di aprire un conto corrente)
La sentenza
Nonostante i diversi motivi di impugnazione nel ricorso, la Cassazione ha confermato quanto stabilito dalla Corte d’Appello stabilendo che la condotta del datore di lavoro di prospettare al dipendente la necessità di figurare come legale rappresentante della società pena la perdita del lavoro è iniqua e illegittima nonchè rilevante penalmente.